A poche settimane dalla costituzione formale, con la firma del Presidente George W. Bush, di un nuovo comando militare dedicato all’Africa, AFRICOM, gli sviluppi recentemente emersi nel continente ricco di risorse suggeriscono che il Presidente di origini keniote Obama dovrà impegnare le risorse statunitensi, militari e non, occupandosi della Repubblica del Congo, del Golfo di Guinea ricco di petrolio, del Darfur (anch’esso ricco di petrolio) nel Sudan meridionale e del crescente “pericolo pirati” che minaccia le rotte marittime nel Mar Rosso e nell’Oceano Indiano.
È legittimo chiedersi se il fatto che l’Africa stia proprio ora diventando un nuovo “punto caldo” geopolitico sia una semplice coincidenza o se vi sia un collegamento diretto con l’ufficializzazione di AFRICOM.
Ciò che più colpisce è la tempistica. Mentre AFRICOM diventava operativo, nell’Oceano Indiano e nel Golfo di Aden si verificavano incidenti spettacolari provocati dalla cosiddetta pirateria somala, mentre nella provincia di Kivu, nella Repubblica del Congo, scoppiava un nuovo sanguinario conflitto. Ciò che accomuna questi fatti è la loro rilevanza, insieme al Darfur nel Sudan meridionale, per il futuro flusso di materie prime verso la Cina.
Il conflitto più recente nella parte orientale del Congo (DRC) è scoppiato alla fine di agosto quando i miliziani tutsi appartenenti al Congrès National pour la Défense du Peuple (CNDP, Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo) del Generale Laurent Nkunda hanno costretto le truppe lealiste delle Forces armées de la République démocratique du Congo (FARDC, Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo) a ritirarsi dalle loro posizioni nei pressi del Lago Kivu mettendo in fuga centinaia di migliaia di civili, tanto che il Ministro degli Esterni francese, Bernard Kouchner, ha avvisato del rischio imminente di “enormi massacri”.
Nkunda, come il suo mentore, il dittatore ruandese appoggiato da Washington, Paul Kagame, è un tutsi che afferma di proteggere la minoranza tutsi da ciò che resta dell’esercito hutu del Ruanda, fuggito in Congo dopo il genocidio ruandese del 1994. I peacekeeper della missione MONUC delle Nazioni Unite non hanno riferito di simili atrocità commesse contro la minoranza tutsi nella regione nordorientale di Kivu. Secondo fonti congolesi gli attacchi contro tutti i gruppi etnici sono all’ordine del giorno nella regione. Le truppe di Laurent Nkunda sono responsabili della maggior parte di questi attacchi, sostengono.
Strane dimissioni
Un ulteriore passo verso il caos politico in Congo è stato fatto a settembre, quando l’83enne Primo Ministro della Repubblica Democratica del Congo, Antoine Gizenga, si è dimesso dopo due anni alla guida del governo. Alla fine di ottobre, con una scelta dei tempi sospetta, il comandante dell’operazione di peacekeeping delle Nazioni Unite in Congo (MONUC, Missione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite in Congo), il Tenente Generale spagnolo Vicente Diaz de Villegas, si è dimesso dopo meno di due mesi citando una “mancanza di fiducia” nella leadership del Presidente Joseph Kabila. Kabila, il primo Presidente democraticamente eletto del Congo, è stato anche coinvolto nella negoziazione di un accordo commerciale da 9 miliardi di dollari tra la DRC e la Cina, cosa di cui Washington non può ovviamente rallegrarsi.
Nkunda è un vecchio seguace del Presidente ruandese, Kagame, spalleggiato dagli Stati Uniti. Tutti gli indizi fanno pensare a un pesante benché segreto ruolo della CIA nelle ultime uccisioni perpetrate in Congo dagli uomini di Nkunda. Lo stesso Nkunda è un ex ufficiale dell’esercito congolese, insegnante e pastore della Chiesa Avventista del Settimo Giorno. Ma sembra che uccidere sia la cosa che gli riesce meglio.
Buona parte dei soldati di Nkunda, bene equipaggiati e relativamente disciplinati, viene dal vicino Ruanda, e il resto è stato reclutato dalla minoranza tutsi della provincia congolese di Nord Kivu. Il sostegno materiale, politico e finanziario a questo esercito congolese ribelle viene dal Ruanda. Secondo l’American Spectator, “Il Presidente Paul Kagame del Ruanda è un vecchio sostenitore di Nkunda, che era un ufficiale dei servizi all’epoca del rovesciamento a opera del leader ruandese del dispotico governo hutu nel suo paese”.
Come ha riferito il 30 ottobre l’agenzia di informazione congolese, “Alcuni hanno accettato il pretesto di una minoranza tutsi in pericolo in Congo. Non si manca mai di affermare che Laurent Nkunda starebbe combattendo per proteggere ‘il suo popolo’. Ma non ci si è chiesti quali siano i suoi veri fini, che consistono nell’occupare la provincia di Nord Kivu, ricchissima di minerali, saccheggiare le sue risorse, e combattere nel Congo orientale per conto del governo ruandese a guida tutsi di Kigali. Kagame vuole un punto d’appoggio nel Congo orientale così che il suo paese possa continuare a beneficiare dei saccheggi e dell’esportazione di minerali come la columbite-tantalite (coltan). Molti esperti oggi concordano sul fatto che le risorse sono il vero motivo per cui Laurent Nkunda continua a creare caos nella regione con l’aiuto di Paul Kagame”.
Il ruolo degli Stati Uniti e AFRICOM
Secondo prove presentate in un tribunale francese e rese pubbliche nel 2006, Kagame organizzò l’abbattimento dell’aereo su cui volava il Presidente hutu del Ruanda, Juvénal Habyarimana, nell’aprile del 1994, fatto che scatenò l’uccisione indiscriminata di centinaia di migliaia di hutu e tutsi.
Il risultato finale dell’eccidio, nel quale morì forse un milione di africani, fu che Paul Kagame – spietato dittatore addestrato alla scuola militare di Fort Leavenworth, nel Kansas, e spalleggiato dagli Stati Uniti e dal Regno Unito – si ritrovò saldamente al potere come dittatore del Ruanda. Da allora ha sempre segretamente appoggiato le ripetute incursioni militari del generale Nkunda nella ricca regione di Kivu con il pretesto di difendere una piccola minoranza tutsi. Kagame aveva più volte respinto i tentativi di rimpatriare quei profughi tutsi in Ruanda, temendo evidentemente di poter perdere un prezioso pretesto per occupare il ricco Kivu.
Almeno fin dal 2001, secondo fonti congolesi, l’esercito statunitense ha una base a Cyangugu, in Ruanda, naturalmente costruita dalla vecchia compagnia di Dick Cheney, la Halliburton, e comodamente vicina al confine con la regione di Kivu.
Il massacro di civili hutu e tutsi del 1994 fu, come l’ha descritta il ricercatore canadese Michel Chossudovsky, “una guerra non dichiarata tra la Francia e l’America. Sostenendo il rafforzamento degli eserciti ugandese e ruandese e intervenendo direttamente nella guerra civile congolese, Washington ha anche la responsabilità diretta dei massacri etnici commessi nel Congo orientale, comprese le centinaia di migliaia di persone morte nei campi profughi”. Aggiunge Chossudovsky: “Il Generale Maggiore Paul Kagame era uno strumento di Washington. La morte di tanti africani non aveva importanza. La guerra civile in Ruanda e i massacri etnici erano parte integrante della politica estera statunitense, attentamente orchestrati in conformità con precisi obiettivi strategici ed economici”.
Adesso l’ex ufficiale dei servizi di Kagame, Nkunda, guida le sue ben equipaggiate truppe su Goma nel Congo orientale secondo un piano che sembra essere quello di staccare la regione ricca di risorse da Kinshasha. Con l’esercito degli Stati Uniti che a partire dal 2007 ha preso a rafforzare la propria presenza in Africa con AFRICOM, sembra essere tutto pronto per l’attuale sottrazione di risorse da parte di Kagame e del suo ex ufficiale, Nkunda.
Oggi il bersaglio è la Cina
Se il bersaglio segreto della “guerra surrogata” degli Stati Uniti nel 1994 era la Francia, oggi quel bersaglio è chiaramente la Cina, vera minaccia al controllo statunitense delle ricchezze minerarie dell’Africa Centrale.
La Repubblica Democratica del Congo è stata così rinominata nel 1997, dopo che l’esercito di Laurent Désiré Kabila ha messo fine al regno di Mobutu, durato 32 anni. Prima di allora si chiamava Repubblica dello Zaire. Gli abitanti chiamano il loro paese Congo-Kinshasa.
La regione congolese di Kivu è sede geologica di minerali tra i più strategici al mondo. Il confine orientale, tra il Ruanda e l’Uganda, corre lungo il bordo orientale della Rift Valley, che i geologi considerano una delle zone più ricche di minerali sulla faccia della terra.
La Repubblica Democratica del Congo contiene più della metà del cobalto mondiale. Ha un terzo dei suoi diamanti, e, cosa estremamente significativa, tre quarti delle risorse mondiali di columbite-tantalite o “coltan”, componente primario dei microchip e dei circuiti stampati, essenziale per i telefoni cellulari, i portatili e altri moderni dispositivi elettronici.
L’America Minerals Fields, compagnia pesantemente coinvolta nell’ascesa al potere di Laurent Kabila nel 1996, all’epoca della guerra civile in Congo aveva il proprio quartier generale a Hope, Arkansas. I principali azionisti comprendevano vecchie conoscenze dell’ex Presidente Clinton che risalivano ai tempi in cui era Governatore dell’Arkansas. Alcuni mesi prima della caduta del dittatore dello Zaire sostenuto dai francesi, Mobutu, Laurent Desire Kabila si stabilì a Goma, nello Zaire orientale, e rinegoziò i contratti minerari con diverse compagnie statunitensi e britanniche, compresa l’American Mineral Fields. Il governo corrotto di Mobutu fu rovesciato con la forza e con l’aiuto del Fondo Monetario Internazionale sotto la direzione degli Stati Uniti.
Washington non era del tutto soddisfatta di Laurent Kabila, che finì assassinato nel 2001. In uno studio pubblicato nell’aprile del 1997, appena un mese prima che il Presidente Mobutu Sese Seko fuggisse dal paese, il Fondo Monetario Internazionale aveva raccomandato di “interrompere completamente e bruscamente l’emissione monetaria” nell’ambito di un programma di risanamento economico. Pochi mesi dopo aver assunto il potere a Kinshasa, il nuovo governo di Laurent Kabila Desire ricevette dall’FMI l’ordine di congelare gli stipendi dei funzionari statali per “ripristinare la stabilità macroeconomica”. Eroso dall’iperinflazione, il salario mensile medio nel settore pubblico era crollato a 30.000 nuovi Zaire (NZ), l’equivalente di un dollaro statunitense.
Secondo Chossudovsky le imposizioni dell’FMI equivalevano a mantenere l’intera popolazione in uno stato di disperata povertà. Preclusero fin dall’inizio una significativa ricostruzione economica postbellica, contribuendo dunque alla continuazione della guerra civile congolese che ha portato alla morte di quasi 2 milioni di persone.
A Laurent Kabila successe il figlio, Joseph Kabila, che divenne il primo Presidente democraticamente eletto del Congo e sembra avere avuto maggiormente a cuore il benessere dei suoi connazionali.
E adesso arriva l’AFRICOM. In un discorso all’International Peace Operations Association (Associazione per le Operazioni di Pace Internazionali) tenuto a Washington il 27 ottobre, il Comandante di AFRICOM Generale Kip Ward ha così definito la missione del comando: “di concerto con altri organi governativi degli Stati Uniti e con i partner internazionali, [condurre] prolungati impegni per la sicurezza attraverso programmi di cooperazione militare, attività sponsorizzate dall’esercito e altre operazioni militari dirette a promuovere un ambiente africano stabile e sicuro a sostegno della politica estera statunitense”.
Le “operazioni militari dirette a promuovere un ambiente africano stabile e sicuro a sostegno della politica estera statunitense”, oggi, sono chiaramente pensate per bloccare la crescente presenza economica della Cina nella regione.
Di fatto, come dichiarano apertamente diverse fonti di Washington, l’AFRICOM è stato creato per contrastare la crescente presenza della Cina in Africa, compresa la Repubblica Democratica del Congo, dove si assicura contratti economici a lungo termine per le materie prime africane in cambio degli aiuti cinesi e di accordi di production sharing [ripartizione della produzione, N.d.T.] e royalties. Secondo fonti bene informate, i cinesi sono stati molto più furbi. Invece di offrire l’austerità e il caos economico imposti dall’FMI, la Cina sta offrendo consistenti crediti e prestiti a tassi agevolati per la costruzione di strade e scuole così da instaurare buoni rapporti con i paesi interessati.
Il dottor J. Peter Pham, un importante insider di Washington che lavora come consulente per i Dipartimenti di Stato e della Difesa degli Stati Uniti, dice francamente che tra gli scopi del nuovo AFRICOM c’è quello di “proteggere l’accesso agli idrocarburi e ad altre risorse strategiche che l’Africa possiede in grande abbondanza… compito che prevede la salvaguardia dalla vulnerabilità di quelle ricchezze naturali e far sì che terze parti come la Cina, l’India, il Giappone o la Russia non ottengano monopoli o trattamenti preferenziali”.
Nella sua testimonianza al Congresso a favore della creazione di AFRICOM, nel 2007, Pham, che è strettamente legato alla neo-conservatrice Foundation for Defense of Democracies (Fondazione per la Difesa delle Democrazie), ha dichiarato:
“Questa ricchezza naturale rende l’Africa un obiettivo invitante per la Repubblica Popolare Cinese, la cui economia dinamica, che ha registrato una crescita media annua del 9% negli ultimi vent’anni, ha una sete quasi insaziabile di petrolio e una necessità di altre risorse naturali per sostenerla. La Cina sta attualmente importando circa 2,6 milioni di barili di greggio al giorno, circa la metà del suo consumo; più di 765.000 di quei barili – all’incirca un terzo delle sue importazioni – vengono da fonti africane, soprattutto il Sudan, l’Angola e il Congo (Brazzaville). Non ci si meraviglia dunque che… forse nessun’altra regione possa competere con l’Africa agli occhi di Pechino e dei suoi interessi strategici a lungo termine. Lo scorso anno il regime cinese ha pubblicato il primo libro bianco ufficiale in cui si elaboravano le linee guida della sua politica africana.
Quest’anno prima del suo tour di dodici giorni in otto nazioni africane – il terzo viaggio di questo tipo da quando ha assunto l’incarico, nel 2003 – il Presidente cinese Hu Jintao ha annunciato un programma triennale da 3 miliardi di dollari in prestiti preferenziali e vasti aiuti per l’Africa. Questi stanziamenti si aggiungono ai 3 miliardi in prestiti e i 2 miliardi in crediti all’esportazione annunciati da Hu nell’ottobre del 2006 all’apertura dello storico summit di Pechino del Forum on China-Africa Cooperation (FOCAC) che ha portato nella capitale cinese quasi cinquanta capi di stato e ministri africani.
Intenzionalmente o no, molti analisti si aspettano che l’Africa – soprattutto gli stati della costa occidentale, ricca di petrolio – diventi sempre più un teatro di competizione strategica tra gli Stati Uniti e il loro unico vero concorrente quasi alla pari sulla scena mondiale, la Cina, dato che entrambi i paesi cercando di estendere la loro influenza e assicurarsi l’accesso alle risorse”.
Cosa degna di nota, alla fine di ottobre le ben armate truppe di Nkunda hanno circondato Goma nel Nord Kivu e chiesto che il Presidente del Congo Joseph Kabila negoziasse con lui. Tra le richieste di Nkunda c’era la cancellazione di una joint venture Congo-Cina da 9 miliardi di dollari in base alla quale la Cina ottiene i diritti sulle estese risorse di rame e cobalto della regione in cambio di 6 miliardi per la costruzione di strade, due dighe idroelettriche, ospedali, scuole e collegamenti ferroviari con l’Africa meridionale, con la provincia di Katanga e con il porto di Matadi sull’Atlantico. I restanti 3 miliardi saranno investiti dalla Cina nello sviluppo di nuove aree minerarie.
Curiosamente gli Stati Uniti e la maggioranza dei media europei tralasciano questo piccolo dettaglio. Sembra che il compito di AFRICOM sia quello di opporsi alla Cina in Africa. La cartina al tornasole sarà rappresentata dalla persona del Presidente Obama in Africa e il suo eventuale tentativo di indebolire il Presidente del Congo Joseph Kabila sostenendo le squadre della morte di Nkunda, naturalmente nel nome del “ristabilimento della democrazia”.
Articolo di Manuela Vittorelli, membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica.