La Procura di Siracusa cita a giudizio dirigenti di Polizia e della Guardia di Finanza per i respingimenti in Libia. Per il Capo della Polizia l’azione si è svolta nel rispetto della normativa nazionale ed internazionale.
Per i magistrati il reato è scaturito dal fatto che gli immigrati sono stati “fatti salire a bordo della nave della Guardia di Finanza Denaro e dunque su territorio italiano”. Piena stima e vicinanza ai pubblici ufficiali ribadita dal ministro Maroni.
La Procura della Repubblica di Siracusa ha disposto il giudizio per concorso in violenza privata del direttore della Direzione centrale dell’mmigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell’interno, Rodolfo Ronconi, e del generale della Guardia di Finanza, Vincenzo Carrarini, in qualità di capo ufficio economia e sicurezza del Terzo Reparto Operazioni del Comando Generale delle Fiamme Gialle.
La richiesta riguarda il “respingimento” di 75 immigrati che tra il 29 e il 31 agosto del 2009 furono intercettati da unità navali della Guardia di Finanza al largo di Portopalo di Capo Passero e che furono riportati in Libia su una nave della Gdf.
Secondo la citazione a giudizio della Procura, non è il “respingimento in sé” ma la mancata applicazione della legge italiana sul territorio nazionale, così come è considerata una nave della Guardia di Finanza, al centro del reato.
La citazione a giudizio, senza passare dalla decisione del Gip, è prassi giuridica in caso di reati valutati dal giudice monocratico. Secondo la Procura della Repubblica di Siracusa i due imputati, “con abuso delle rispettive qualità di pubblici ufficiali” avrebbero tenuto una “condotta violenta” nel “ricondurre in territorio libico, contro la loro palese volontà, 75 stranieri, non identificati, alcuni sicuramente minorenni, intercettati in acque internazionali su un natante proveniente dalle coste libiche”. Il reato, è scaturito dal fatto che gli immigrati sono stati “fatti salire a bordo della nave della Guardia di Finanza Denaro e dunque su territorio italiano”.
Secondo l’accusa, la nave italiana è come se fosse territorio italiano, e il comportamento è “in aperto contrasto con le norme di diritto interno e di diritto internazionale recepite nel nostro ordinamento”. Tanto da “impedire loro l’accesso effettivo alle procedure di tutela dei rifugiati e più in generale di avvalersi dei diritti loro riconosciuti in materia di immigrazione”. La Procura nel capo d’accusa sottolinea inoltre che “l’imputazione non concerne direttamente la cosiddetta politica dei respingimenti, ed in particolare non attiene alla legittimità in sé degli accordi sottoscritti tra l’Italia e la Libia” ma costituisce invece “una violenza privata, poiché non eseguiti nel rispetto della normativa italiana, conforme tra l’altro agli accordi internazionali”.
Per il Capo della Polizia, il prefetto Antonio Manganelli, c’è “l’assoluta convinzione” che l’azione degli uffici del Dipartimento della Pubblica Sicurezza si è svolta “nel pieno rispetto della normativa nazionale e delle convenzioni internazionali vigenti in materia”, ribadendo inoltre la “propria, incondizionata fiducia nell’operato della magistratura”.
“Piena stima e vicinanza” ai pubblici ufficiali è stata ribadita dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni, che si è detto sicuro che l’accertamento giudiziario “dimostrerà che le azioni poste in essere sono state pienamente conformi alla legislazione nazionale ed internazionale”.
(Al. Col.)
Fonte: Immigrazioneoggi.it