In Italia ci sono oltre 6 milioni di persone impegnate nel volontariato.
Quando mi dicono questa è “l’altra Italia”, rispondo: “No, questa è l’Italia”.
Nel nostro Paese si avverte una grande sensibilità, anche profondamente laica, alla filantropia, all’altruismo. È nel nostro Dna.
Vada a visitare lo Spedale degli Innocenti a Firenze. Nel 1419 la comunità fiorentina si pose il problema dei bambini abbandonati e decise di realizzare una struttura per accoglierli, chiamando Brunelleschi a progettarla e grandi artisti a decorarla. Proprio perché disagiati, i bambini dovevano crescere in un ambiente gradevole.
Questa è l’Italia: un luogo di consapevolezze e conquiste sociali. Sarò l’ultima degli idealisti, però continuo a battermi per queste idee…».
Emanuela Del Re, viceministra degli Esteri con delega alla Cooperazione allo sviluppo, anticipa così la domanda che avremmo voluto porle, ovvero se la pandemia e le difficoltà economiche che ne conseguono stanno mettendo in crisi gli aiuti ai Paesi più poveri. Tutto continua come prima?
«La cooperazione allo sviluppo è, in generale, il braccio più operativo della politica estera, e in questo momento assume una dimensione particolare proprio perché può dare risposte concrete. Paesi come il nostro, con sistemi sanitari collaudati ed efficienti, sanno rispondere adeguatamente alle richieste di nazioni fragili che non potrebbero affrontare la pandemia. Alcune di queste hanno già riconosciuto che, senza l’intervento italiano degli anni scorsi, i loro ospedali non avrebbero nemmeno saputo da dove cominciare. Abbiamo meriti per valore e professionalità. Anche se qualcuno tende a sottovalutarlo, il modello italiano è ispirazione per altri».
In questo momento non ci sono troppi fronti aperti in casa nostra?
«Gli italiani da sempre contribuiscono ai destini del mondo. Siamo ovunque, sappiamo interagire con altre società, portiamo tecnologie e valori positivi. Lo facciamo anche nel nostro interesse. Un mondo più equo, più sviluppato, capace di resistere alle pandemie, ai contagi di ritorno, alle migrazioni e al loro sfruttamento conviene pure a noi. Quando la nostra cooperazione opera in Paesi fragili aiuta locali, ma apre anche molte porte, crea rapporti privilegiati con le istituzioni del posto. L’imprenditore italiano, là dove c’è la cooperazione, ha vita più facile. Comunque non può esistere un mondo che non sia interconnesso. Se la ricorda la Meditazione di John Donne? “Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso… La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te”. Ecco, questo potrebbe essere il manifesto della cooperazione allo sviluppo ed è stato scritto quattro secoli fa. Non un’idea pietistica di aiuto ai deboli, che pure è nobilissima, ma principio che contempla la necessità di migliorare le condizioni sociali ed economiche di altre popolazioni, per far sì che possano, in futuro, proseguire con le loro gambe».
L’Africa è l’obiettivo principale della cooperazione. Perché?
«Esiste un unico corridoio dall’Europa, giù per il Mediterraneo fino a Città del Capo: vi corrono traffici, interessi, migrazioni, investimenti. Per questo da anni vado predicando che è obsoleto parlare di donatori e beneficiari. Nella cooperazione siamo tutti partner e il vantaggio è reciproco. Anche in Europa si è consapevoli di questa interconnessione e, di fronte alla pandemia, l’Africa è divenuta il focus principale. Noi italiani, poi, abbiamo molte eccellenze riconosciute da mettere in campo…».
Per esempio?
«La sicurezza alimentare. L’Italia è particolarmente virtuosa, con filiere solide e grandi competenze. Siamo in grado di fornire impulsi importanti per sviluppare prima forme di sussistenza e poi di imprenditoria. Il problema della sicurezza alimentare nel mondo spesso non è la scarsità di cibo ma come gestirlo. Abbiamo sperimentato cosa può accadere se si chiudono le frontiere per fermare il contagio… Poi, noi mettiamo sempre in primo piano i diritti umani. Le faccio un esempio che mi riempie di gioia. Siamo stati molto vicini al Sudan, non lo abbiamo abbandonato nemmeno sotto ai regimi più duri. Oltre ad aver migliorato le condizioni di vita dei sudanesi, è da ascrivere anche al nostro impegno una conquista diventata legge pochi mesi fa: nel codice penale di quel Paese le mutilazioni genitali femminili sono diventate un crimine»
Fonte: esteri.it
Tutte corrette le parole del Vice Ministro però manca qualcosa per aiutare l’Africa bisogna conoscerla e purtroppo gran parte di quelli che ne parlano lo fanno per stereopiti.
Liliana Mosca
Già Oridnario di Storia e Istituzioni dell’Africa
Univerità Federico II