“Il Grande Futuro” un libro nato dall’incontro con un giovane Al-Shabaab

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“Più passavo il tempo a guardarlo negli occhi, l’unica parte non coperta del suo viso, più mi rendevo conto che lui, quello che mi era sempre stato descritto come il nemico, era simile a me. Quasi uno specchio in cui vedere me stesso”.

E’ nello sguardo di un giovane ex combattente di Al Shabaab, incontrato al confine tra Kenya e Somalia, che nella mente dello scrittore Giuseppe Catozzella si è accesa la scintilla divampata nel suo nuovo romanzo: “Il grande futuro”, edito da Feltrinelli. (261 pag. 16 euro)

Lo ha raccontato lo stesso autore alla libreria Feltrinelli di Como dove, lo scorso  12 febbraio, è tornato a due anni di distanza dalla presentazione di “Non dirmi che hai paura”, il libro che lo ha fatto conoscere al grande pubblico portandolo tra i cinque finalisti del Premio Strega di cui si è aggiudicato la sezione giovani.

Lo scrittore prosegue nel solco di un filone letterario che potremmo definire di impegno sociale: dopo aver raccontato il traffico di organi in “Espianti” (Transeuropa, 2008), le infiltrazioni mafiose in Lombarida in “Alveare” (Rizzoli, 2011; Feltrinelli, 2014) e il fenomeno migratorio nel già citato “Non dirmi che hai paura”, l’autore si concentra ora sul fondamentalismo di matrice islamica.

Un tema di grande attualità che l’autore ha voluto affrontare lasciando da parte la geopolitica e la sociologia per far parlare il volto e i passi di Amal, un giovane nato in una piccola isola al largo della Somalia (anche se il libro non contiene riferimenti geografici) in cui è in corso una guerra tra l’Esercito Regolare e i “Neri”, un gruppo di miliziani che “in una mano impugna il fucile e nell’altra il Corano”.

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Una storia non solo di lotta e di violenza, ma anche di amicizia e di amore: Amal è figlio di servi pescatori e migliore amico di Ahmed, figlio del signore del villaggio. Due giovani, tanto simili e al contempo tanto diversi, che si troveranno a combattere quella stessa guerra da fronti opposti.

“Dopo il grande successo del precedente romanzo – ha spiegato Catozzella – avrei potuto scrivere un romanzo leggero e avrei sicuramente venduto, ma non è questo il mondo che ho di intendere la letteratura. Credo che, dopo il tema delle migrazioni, quello del fondamentalismo islamico e, soprattutto, dei rapporti tra Occidente e mondo arabo sia uno dei temi più importanti del mondo moderno. Così come il rapporto con l’Islam, una religione che ha molte più cose in comune con cristianesimo e ebraismo (in fondo sono le tre religione abramitiche) di quanto la gente normalmente pensa. Una religione in cui l’unica Jihad ammessa è quella per la conversione personale”.

Come avvenuto nel caso di Samia, anche per questo romanzo l’autore ha scelto di partire da una storia vera: dalla confessione di un giovane riuscito a fuggire da un gruppo di Al-Shaabab (formazione nella galassia di Al Qaeda, ma corteggiata dall’Isis) dopo essersi scontrato per anni contro l’esercito regolare e le truppe di Amison (la missione militare guidata dall’Unione africana in Somalia). Un incontro avvenuto durante uno dei tanti viaggi che lo scrittore, negli ultimi anni, ha compiuto nel Corno d’Africa anche grazie alla sua carica di “ambasciatore di buona volontà” dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.

140902155621-al-shabaab-members-horizontal-large-gallery“Ho avuto la fortuna – racconta Catozzella – di conoscere un giovane che, per amore, ha avuto il coraggio e la forza di lasciare il gruppo e di tornare al suo villaggio dove ora lavora per l’educazione e la rieducazione dei ragazzi. Ha accettato di raccontarmi la sua storia e, per giorni, sono rimasto ad ascoltare le sue parole dal reclutamento fino alla fuga. Parole che mi hanno messo in discussione, liberandomi da molti dei pregiudizi che avevo sull’Islam. Da qui sono partito per raccontare una storia che prende le forme di una fiaba libera da episodi contingenti e riferimenti geografici per diventare qualcosa di universale. Non è un caso che il protagonista si chiami Amal che in arabo significa speranza”.

Nasce così un romanzo che ha il merito di descrivere il mondo del fondamentalismo – particolarmente efficaci le parti che raccontano la vita nella “Grande moschea del deserto” così come l’organizzazione dei gruppi di combattenti – senza cadere nella retorica del bianco e nero, dei buoni e cattivi, provando a scardinare i meccanismi che, in Somalia come in Siria, in Nigeria come alla periferia di Parigi, possono spingere un giovane a cedere alle lusinghe della violenza, a vedere nell’odio dell’altro la via d’uscita dall’insoddisfazione e dalla precarietà della propria vita. Una prospettiva che non si traduce certo nell’apologia del fondamentalismo, ma nel richiamo a guardare alle singole storie che si nascondono dietro le pieghe della Storia, quella con la “s” maiuscola.

 

Fonte: africaeuropa.it

 

 

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