di Maurizio Ambrosini e Alberto Guariso
Il reato di immigrazione illegale è stato introdotto nel 2009. E ha subito rivelato i suoi limiti. A cominciare dall’impossibilità di procedere alle espulsioni per mancanza di risorse e di accordi con i paesi di origine. Per lo Stato è un costo. E la rinuncia ad abolirlo è una resa della politica.
Genesi di un reato inutile
All’inaugurazione dell’anno giudiziario, Giovanni Canzio (primo presidente di Cassazione) ha parlato di “uso simbolico del diritto penale” a proposito del reato d’immigrazione illegale. Altri magistrati, compresi quelli della procura nazionale antimafia, lo avevano già definito inutile e persino controproducente.
Il reato (di cui tratta l’articolo 10bis del testo unico immigrazione) è stato introdotto dalla legge 94/2009, in forza della quale lo straniero che fa ingresso o si trattiene nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni che disciplinano l’ingresso e il soggiorno in Italia dei cittadini di paesi extra UE (la norma non si applica ai comunitari) è punito con la sanzione dell’ammenda da 5mila a 10mila euro.
È un reato contravvenzionale, punito con la sola pena pecuniaria, per il quale, di conseguenza, non è possibile l’adozione di forme limitative della libertà personale, quali l’arresto o il fermo di polizia. Lo straniero che entra o soggiorna illegalmente in Italia non può quindi essere arrestato, viene denunciato a “piede libero” e processato mesi o anni dopo, normalmente in contumacia. La condanna non viene mai eseguita perché lo straniero irregolare – proprio perché privo di permesso di soggiorno – non può avere un conto corrente, né un lavoro regolare, né essere titolare di un immobile. Quindi, le pene pecuniarie irrogate restano senza alcun effetto.
Il processo è invece oneroso per lo Stato, sia in termini di personale occupato sia perché lo straniero deve avere un difensore e, poiché è privo di reddito, può essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato.
Come nasce l’idea di un meccanismo già a prima vista così inutile? Il reato penale rientra nell’ambito di uno dei vari “pacchetti sicurezza” che hanno contraddistinto l’operato del governo Berlusconi-Maroni. Il sistema espulsivo italiano, disegnato nel 2002 dalla legge Bossi-Fini, prevedeva (e prevede in parte ancora oggi) che tutte le espulsioni fossero eseguite immediatamente dalla polizia con l’accompagnamento coattivo alla frontiera dello straniero da espellere: allora come ora, il sistema non poteva essere messo in pratica per carenza di mezzi economici per attuare l’espulsione e di accordi con gli stati di provenienza.
Ma sulla carta il sistema restava così congegnato e l’allora maggioranza politica non intendeva recedere dalla propria impostazione “muscolare” per adeguarsi a norme europee, che pure erano ritenute dalla UE più efficaci. Allora come ora, si preferiva l’immagine all’efficacia.
Poiché la direttiva europea del 2008 consentiva agli Stati membri di derogare all’obbligo di concedere un termine per la partenza volontaria nei casi in cui l’espulsione fosse stata disposta come sanzione penale o in conseguenza di una sentenza penale, la soluzione tecnica allora pensata è stata quella di puntare alla trasformazione di ogni espulsione in sanzione penale.
Se nelle more del processo penale, l’amministrazione riesce a eseguire l’espulsione coattivamente, il giudice del procedimento penale emette una sentenza con cui dichiara che l’azione penale è diventata improcedibile (lo Stato non ha interesse a una condanna pecuniaria nei confronti dell’espulso); se l’espulsione amministrativa non è ancora eseguita, il processo prosegue e arriva alla sentenza con la condanna pecuniaria. Che può essere sostituita dalla espulsione penale solo quando questa è materialmente e immediatamente possibile. Ma se l’espulsione è possibile è certamente già stata eseguita dall’amministrazione, con conseguente sentenza d’improcedibilità in sede penale. Se, invece, si arriva alla celebrazione del processo penale, è proprio perché l’espulsione amministrativa non ha potuto essere eseguita, per assenza di quelle stesse condizioni che continuano a mancare in occasione della sentenza e che dunque impediscono la “espulsione penale”.
Dunque, espulsione penale ed espulsione amministrativa si inseguono senza risultato perché il problema è, per l’una e per l’altra, quello della loro materiale effettuazione.
Di conseguenza, ormai da anni, i maggiori uffici giudiziari disapplicano di fatto la norma e impegnano le loro forze per perseguire reati più gravi e con sanzioni più efficaci: il che determina una situazione di disomogeneità tra territori del tutto incompatibile con la certezza dell’ordinamento penale.
La resa della politica
I fautori del reato sostengono che la norma avrebbe comunque un effetto di deterrenza.
La tesi è priva di qualsiasi verifica empirica: gli arrivi dipendono da svariati fattori, che spaziano dai conflitti nei luoghi di origine, alla richiesta di manodopera da parte dell’economia sommersa, famiglie comprese, alle facilitazioni per l’ingresso da determinati paesi. Per esempio, gli stati dell’UE non richiedono il visto ai cittadini di una cinquantina di paesi del mondo, tra cui tutti quelli dell’area balcanica.
Un’innovazione introdotta proprio dal governo Berlusconi-Maroni. Limitandoci agli sbarchi, nel 2009, senza l’effetto “deterrenza” (la legge è entrata in vigore in agosto), erano stati 9.753; da quell’anno si è verificato un incremento costante fino ai 170mila del 2014 e ai 150mila del 2015. Impossibile quindi trovare conferma dell’effetto deterrenza.
Resta l’obiezione che è risuonata nel dibattito politico: la gente non capirebbe l’abolizione del reato, “sarebbe un segnale sbagliato all’opinione pubblica”. In altri termini, la sicurezza non consiste solo nella sicurezza effettiva, ma nella sua percezione. Aleggia ovviamente la paura di una strumentalizzazione da parte delle opposizioni e di offrire un facile argomento di campagna elettorale.
Quando però per calcoli di convenienza si rinuncia a compiere scelte sensate, sollecitate dai tecnici che si occupano della materia (in questo caso i magistrati), significa che siamo alla resa della politica, destinata a seguire umori e percezioni, incapace di proporre e convincere secondo razionalità ed efficacia. Una gestione più saggia, equilibrata e produttiva di fenomeni complessi come quelli migratori resta ancora un desiderio irrealizzato.
Fonte: www.lavoce.info