Il disordine che ha investito il Mediterraneo rappresenta una sfida esistenziale per l’Europa.
La minaccia terrorista e il flusso di migranti che giungono ai nostri confini sono due questioni da tenere nettamente separate, ma entrambe ci mettono alla prova.
Rimettono in discussione i valori su cui è nata l’Unione Europea.
Chiamano in causa la nostra identità culturale e coesione politica.
Ci esortano a governare le sfide, invece di subirle.
Questi temi saranno al centro della Conferenza «Rome Med Dialogues» che si apre giovedì.
Il ruolo dell’Italia quale crocevia naturale di iniziative diplomatiche sul Mediterraneo verrà ulteriormente confermato dal vertice sulla Libia che — su proposta italo-americana — si svolgerà a Roma il 13 dicembre e da quello del gruppo ristretto della Coalizione anti-Daesh previsto sempre a Roma nelle settimane successive.
Dopo i drammatici attentati di Parigi, il dibattito dei «Rome Med Dialogues» partirà dalle sfide più urgenti che dobbiamo affrontare: la sconfitta di Daesh, l’avvio di una transizione politica in Siria e la nascita di un governo di concordia nazionale in Libia.
Ma obiettivo della Conferenza è di proiettare lo sguardo oltre le crisi, avviando una riflessione su come ricostruire le premesse di un ordine regionale.
Per quanto difficile possa sembrare, dobbiamo infatti iniziare sin d’ora a immaginare una «Pace di Vestfalia» per il «Mediterraneo globale».
Per una regione il cui concetto geopolitico si è allargato, includendo nuovi corridoi marittimi, fino al Golfo di Aden, e terrestri, nei territori africani dove la fragilità istituzionale favorisce il traffico degli esseri umani.
Nella visione italiana, questo embrione di nuovo ordine regionale potrebbe poggiare su tre pilastri.
Anzitutto la necessità di non ripetere gli errori commessi in passato.
L’Occidente ha già coltivato l’illusione di guerre lampo per poi subirne le conseguenze per anni e anni.
Oggi contro Daesh l’opzione militare è certamente necessaria ma non sufficiente per sconfiggerlo definitivamente.
L’esperienza degli ultimi anni suggerisce poi che è compito delle potenze regionali contribuire a una pace sostenibile in Medio Oriente.
Non possono più essere Stati Uniti, singoli Paesi europei o la Russia, e un domani la Cina, a tracciare dall’alto nuovi confini e nemmeno a garantire da soli la sicurezza della regione.
La comunità internazionale resta tuttavia cruciale sia per contribuire alla sicurezza, sia per incoraggiare gli attori regionali a svolgere un ruolo più cooperativo e meno conflittuale.
Il secondo pilastro è la riattivazione del dialogo regionale.
Senza inseguire utopie, l’accordo raggiunto sul nucleare iraniano, il prezzo del petrolio e la comune sfida contro Daesh, potrebbero aprire spiragli per un percorso graduale di misure di fiducia tra i Paesi della regione.
Progressi sostanziali nel lavoro sulla Siria iniziato a Vienna sarebbero particolarmente significativi.
L’ultimo pilastro di un nuovo ordine regionale va costruito con il coraggio di andare controtendenza, elaborando un’agenda positiva per il «Mediterraneo globale», senza rassegnarsi al pessimismo.
Oltre le divisioni, oltre i conflitti, ci sono le opportunità.
Anche per l’Italia. Penso, in particolare, agli effetti dell’accordo sul nucleare iraniano con l’economia di Teheran che, senza sanzioni, potrebbe crescere del 5%; al raddoppio del Canale di Suez che sta permettendo di aumentare notevolmente il traffico merci nel Mediterraneo; ai riflessi sulla regione dello sviluppo africano previsto al 5,3% negli anni 2017-2020; all’impatto della «Nuova via della Seta» cinese che termina proprio nel Mediterraneo; alle prospettive per il mercato energetico dell’area grazie — ad esempio — alle scoperte di Eni in Egitto. La storia del Mediterraneo è incontro tra culture e fedi religiose.
E storia di pluralismo. La Conferenza di Roma può contribuire alla sfida con nuove idee, diventando un importante appuntamento annuale per riflettere sulla regione.
Dobbiamo avere ben chiara la posta in gioco: non un’emergenza passeggera, ma il futuro dell’Europa.
Per questo il Mediterraneo ci chiama in causa e non può essere il luogo della riluttanza dell’Occidente.
Fonte:: esteri.it