Profughi, a Lampedusa il sospetto che fra gli interpreti ci siano spie del regime eritreo
A suscitare il timore è la presenza di persone appartenenti al Young People’s Front for Democracy and Justice (YPFDJ) la sezione giovanile all’estero del partito del regime eritreo di Isaias Afewerki. A denunciarlo sono il Prefetto, il Questore di Agrigento e Padre Mussie Zerai, presidente dell’Agenzia Habeshia e responsabile per la Pastorale migranti eritrei e etiopi in Svizzera
di ISMAIL ALI FARAH
ROMA – Da alcune settimane si respira una certa apprensione tra i profughi eritrei accolti a Lampedusa e Agrigento. Tra loro c’è, chi avverte sull’isola: “Non uscite dal Centro di accoglienza, perché, fuori, c’è chi potrebbe identificarvi”. A suscitare il timore è la presenza segnalata di personalità affiliate alYoung People’s Front for Democracy and Justice (YPFDJ) – sezione giovanile all’estero del partito del regime eritreo di Isaias Afewerki – provenienti da tutta Italia e da alcuni Paesi europei. A denunciarlo, attraverso una segnalazione inviata lunedì 28 ottobre a Francesca Ferrandino e a Mario Finocchiaro, rispettivamente Prefetto e Questore di Agrigento, è stato Padre Mussie Zerai, presidente dell’Agenzia Habeshia e responsabile per la Pastorale migranti eritrei e etiopi in Svizzera.
Spie del regime infiltrate come traduttori. “Era la mattina di martedì 22 ottobre – dice Dania Avallone, presidente dell’Associazione Asper, Coordinamento Eritrea Democratica – mi trovavo nella Questura di Agrigento, quando le accese proteste di alcuni parenti eritrei delle vittime del naufragio di Lampedusa hanno attirato la mia attenzione. Il motivo era la presenza di alcuni interpreti e mediatori culturali appartenenti al YPFDJ impiegati dalle autorità. Abbiamo identificato quattro appartenenti al partito e persone vicine all’ambasciata. Una volta chiarito il motivo delle proteste, il gruppo è stato allontanato”.
Un errore delle istituzioni, in buona fede. Tra le persone entrate nei locali della Questura e identificate dagli attivisti, figura Tedros Goytom, leader del YPFDJ, appositamente giunto dalla Germania. “Queste persone vicine al regime – fa sapere il Coordinamento Eritrea Democratica – sono arrivate ad Agrigento e a Lampedusa offrendosi come traduttori volontari. La mattina del 22 ottobre, i parenti delle vittime protestavano in Questura perché avevano capito che nella traduzione gli interpreti chiedevano una tariffa di 150 euro per il test del Dna, che in realtà non era richiesta. Una volta scoperti sono stati allontanati. Si è trattato di un errore in buona fede da parte delle istituzioni, dettato dalla situazione di emergenza, ma fino ad allora hanno lavorato indisturbati e a contatto anche con richiedenti asilo”.
Il sistema degli interpreti. Il ruolo dei traduttori, la loro competenza e neutralità, sono fondamentali nel processo di accoglienza dei richiedenti asilo. Particolarmente delicata è soprattutto la fase che investe le Commissioni Territoriali, incaricate di esaminare le domande e di intervistare i richiedenti, dove una parola fa la differenza. Dal 2001 al 2012 sono state presentate in Italia, secondo i dati del Viminale, 14.386 richieste di asilo da cittadini eritrei. Dall’inizio dell’anno, sono 35.085 i migranti sbarcati sulle coste italiane. Di questi 8.843 sono eritrei. Il servizio di traduzioni svolto nelle Commissioni è garantito da un’impresa privata, selezionata tramite bando di gara del Ministero dell’Interno. Attualmente è la Interpreti e traduttori in Cooperativa srl (ITC) a fornire il servizio, a cui si aggiungono la miriade di mediatori e traduttori assunti o volontari di organizzazioni e istituzioni che operano nelle diverse fasi dell’accoglienza.
Quella donna dell’ambasciata. A sollevare preoccupazione sul ruolo degli interpreti è Don Zerai, che segnala la presenza di una donna, Astier Tesfamariam, vicina all’ambasciata eritrea e al YPFDJ. Tesfamariam, fino al 2009 figurava tra i soci della cooperativa ITC mentre, nel 2004, ha collaborato come consulente esterna nel progetto Presidium II della Croce Rossa Italiana. Per prevenire eventuali conflitti di interesse, fa sapere la ITC, è stato redatto con la collaborazione dell’UNHCR un codice deontologico che viene sottoposto ad ogni interprete della cooperativa. Nel caso di segnalazioni fondate, riguardanti violazioni del codice, assicura ITC, l’interprete viene dispensato dall’incarico.
La reazione dell’UNHCR. L’attenzione rimane alta anche da parte dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, che raccoglie seriamente le segnalazioni delle ultime settimane. “Siamo coscienti che non sembra esserci un sistema formale che garantisca non solo la competenza ma anche l’idoneità degli interpreti – dice Laurens Jolles, delegato dell’UNHCR per il Sud Europa – Abbiamo cercato di far fronte a questo attraverso l’adozione del codice deontologico, di un programma di formazione e criteri di idoneità che tengano conto, nella selezione, anche dei legami tra gli interpreti e le ambasciate d’origine. Soprattutto in casi come quello delle Commissioni o delle Questure, dove il loro ruolo è molto importante”.
Compilate liste di nomi e foto di naufraghi. “Siamo rimasti molto scioccati dal recente tentativo di certe ambasciate di compilare liste di nomi con foto dei naufraghi di Lampedusa – continua Jolles – questo ci rafforza ancora di più nella convinzione di fare un maggiore sforzo nel cercare interpreti, nelle situazioni che coinvolgono i richiedenti asilo, selezionati nel modo corretto”. Selezione che in alcuni casi non avviene con la dovuta attenzione, secondo il delegato UNHCR, che precisa: “In Italia il sistema di esame delle domande funziona. Questi sono casi che possono accadere in tutto il mondo. In altri Paesi, però, ci sono dipartimenti con competenze specifiche in materia di asilo e si occupano solo di questo. Spesso gli interpreti sono inquadrati in pianta stabile e c’è modo di fare una selezione rigorosa. In Italia è un po’ più casuale. Si utilizzano le ditte vincitrici di un bando, che alle volte non hanno le dovute cautele”.
Polemica con il ministro Kyenge. Alla cerimonia di commemorazione delle vittime del naufragio di Lampedusa, lo scorso 21 ottobre, era presente, su invito, anche l’ambasciatore eritreo Zemede Tekle. “Una presenza del tutto inopportuna e lo abbiamo fatto presente al ministro Alfano – accusa il presidente di Habeshia – Stavamo commemorando vittime fuggite proprio dal regime che quell’ambasciatore rappresenta”. Tuttavia, la presenza dell’ambasciatore Tekle a Lampedusa non è il solo ‘incidente’. Lo scorso 15 ottobre, infatti, il ministro per l’Integrazione, Cecile Kyenge ha ricevuto, tra gli altri, Deres Araya, sedicente capo della comunità eritrea in Italia. Quella parte di comunità molto vicina al governo di Asmara. “Un ministro della Repubblica che riceve persone così – continua Zerai – assieme ad una delegazione di sostenitori del regime, non fa altro che legittimarle. Tenuto conto soprattutto del contesto. Lo abbiamo fatto presente al ministro Kyenge, che ci ha ricevuto e preso atto delle nostre segnalazioni. Ci ha detto che è tenuta a ricevere tutte le parti che ne fanno richiesta. Una risposta che mi ha lasciato perplesso e non mi aspettavo”.
I corpi reclamati. Intanto, la portata della tragedia ha raggiunto anche gli impenetrabili media eritrei. Il ministero degli Esteri italiano continua a ricevere forti pressioni dall’ambasciata eritrea per la consegna dei corpi delle vittime. Le stesse vittime che, per definizione, Asmara chiama traditori. C’è dunque una rete capillare di controllo, in patria e all’estero. I profughi che giungono dall’Eritrea conoscono bene le conseguenze di un’identificazione. Fuggono da un paese isolato dalla comunità internazionale, militarizzato e perennemente in stato di mobilitazione, a causa della perpetua tensione sul confine con il cugino etiopico. Per ogni cittadino, a 18 anni, inizia una leva militare che non ha termine. Un popolo letteralmente schiavizzato. Chiunque fugga è un criminale e disertore. Il sistema di controllo del dissenso utilizza tutti gli strumenti del caso: arresti e detenzioni arbitrarie, sparizioni, esecuzioni sommarie e torture.
I prigionieri politici detenuti sono circa 10 mila. Amnesty International stima che siano 10.000 i prigionieri politici detenuti dal governo del presidente Afewerki, fin dalla sua ascesa al potere nel 1993. Chi si ribella, anche solo cercando di fuggire, deve affrontare il carcere, la tortura e i lavori forzati. Picchiati ogni notte con barre di metallo, legati e abbandonati al sole per 55 giorni o rinchiusi in isolamento, secondo solo alcune delle testimonianze raccolte dall’organizzazione. Quando il regime non è in grado di colpire direttamente, punta ai parenti rimasti in patria, multati o incarcerati. Gli esperti del Gruppo di Monitoraggio dell’Onu sull’embargo alle armi imposto su Somalia ed Eritrea riferivano, fin dal 2011, la presenza di un’efficiente rete di intelligence, che si occupava di reperire risorse finanziarie per il regime e tenere sotto controllo la diaspora e i rischi potenziali di un opposizione al governo.
La propaganda attraverso lo YPFDJ. Dopo le proteste studentesche del 2001 e le successive repressioni, Asmara ha dato vita, nel 2004, al YPFDJ, appendice giovanile del partito unico al potere. L’intento è lo stesso perseguito in patria: indottrinare e mobilitare le giovani generazioni cresciute in esilio, che non hanno partecipato alla guerra di indipendenza, perché aderiscano alla mistica nazionalista del regime. L’organizzazione permette al governo di saldare i legami con le comunità in esilio e avvicinarle alle istituzioni diplomatiche e agli uffici del partito dislocati nel mondo: “I membri del YPFDJ – spiega Avallone – sono soprattutto seconde e terze generazioni. Figli di quella prima diaspora sostenitrice della lotta per l’indipendenza. Una causa giusta, che poi è degenerata nel regime di Afewerki”.
Fonte: Repubblica.it