Su segnalazione dell’autrice, ripubblichiamo questo approfondito articolo di Nicoletta Fagiolo sulle ultime vicende in Costa d’Avorio a partire dalle controverse elezioni presidenziali del 2010 che hanno provocato un intervento militare sostenuto dalle Nazioni Unite a seguito di un risultato elettorale incerto.
Da Reset-Dialogues on Civilizations
Dal Novembre del 2011 Laurent Gbagbo, ex Presidente della Costa d’Avorio, si trova alla Corte Penale Internazionale dell’Aia accusato di essere stato il co-autore indiretto di gravi crimini umanitari durante la crisi post-elettorale del suo paese. Ma sono in molti a interrogarsi sul perché e sulla legittimità di queste accuse. Per tanti è infatti l’avversario politico di Gbagbo alle presidenziali del 2010, Alassane Ouattara, che dovrebbe prenderne il posto all’Aia, assieme a Guillaume Soro, l’attuale Presidente dell’Assemblea Nazionale, alla testa della ribellione del 2002 che divise il paese in due. Perché non viene avviato un processo per i gravi crimini commessi dai movimenti ribelli – che attaccarono la Costa d’Avorio nel 2002 – nelle regioni Centro-Nord-Ovest (CNO) che rimasero sotto il loro controllo? Un grande movimento di resistenza è nato a livello internazionale per reclamare verità e giustizia su questa rocambolesca vicenda.
Rocambolesca perché Alassane Ouattara fu dichiarato vincitore delle elezioni il 2 dicembre del 2010 da Youssouf Bakayoko, il Capo della Commissione Elettorale Indipendente (CEI), a cui spetta, secondo la costituzione Ivoriana, dichiarare solo i risultati provvisori. Anche il luogo in cui questo annuncio è avvenuto è strano: la vittoria di Ouattara è stata dichiarata in un aula dell’albergo Hotel du Golf, che fungeva da quartier generale di Ouattara per la sua campagna elettorale, in assenza, e dunque senza l’avallo del Consiglio Costituzionale, a cui spetta, sempre secondo la costituzione Ivoriana, dichiarare il risultato finale delle elezioni. Inoltre, Youssouf Bakayoko si presentò solo, senza la presenza dei suoi colleghi della CEI, che invece quel 2 dicembre lo stavano aspettando nella loro sede, proprio per arrivare a un consenso sui risultati provvisori da dichiarare. I risultati provvisori, non approvati dall’insieme dei membri della CEI e senza la presenza dei rappresentati dei rispettivi candidati, furono dichiarati risultati definitivi.
Rimane dunque ancora un mistero chi abbia realmente vinto le elezioni al secondo turno del 28 novembre 2010 che vide opporsi lo storico, socialista e padre fondatore del multipartitismo in Costa d’Avorio Laurent Gbagbo ad Alassane Ouattara, che fu Primo ministro sotto il regime dittatoriale di Félix Houphouët-Boigny dal 1990-93 e poi perseguì una carriera diplomatica internazionale presso la Banca Centrale degli Stati dell’Africa dell’Ovest (BECEAO) e il Fondo Monetario Internazionale.
Thabo Mbeki, ex Presidente del Sud Africa, che ebbe un ruolo rilevante come mediatore sin dagli inizi della crisi nel 2004, in visita dal 5 al 7 dicembre del 2010 conclude nel suo rapporto che queste elezioni non si potevano considerare valide. Nell’articolo Cosa il mondo ha sbagliato sulla Costa d’Avorio, egli ricorda come l’ambasciatrice degli Stati Uniti ad Abidjan, Wanda L. Nesbitt, avesse avvertito il suo governo già nel 2009 che senza alcuni requisiti essenziali – la riunificazione fiscale e territoriale del paese, il ritorno dell’amministrazione nazionale nel nord, e soprattutto il disarmo totale della ribellione, le Forces Nouvelles, impiantata nel nord dal 2002 – non sarebbe stato possibile tenere elezioni democratiche. Questo disarmo (unica richiesta fatta alla ribellione e ribadita in ben otto accordi di pace sin dal 2003, non fu mai rispettata dalle Force Nouvelles) oggi ancora non attuato, è alla base del clima di forte insicurezza in cui il paese vive.[1]
Di fronte alle minacce alla legalità repubblicana derivanti dal comportamento anti-costituzionale della CEI (che fu approvato anche dal rappresentante speciale delle Nazioni Unite per la Costa d ‘Avorio, Young-Jin Choï, benché non rientrasse nel suo mandato) e dalla violenza esercitata durante lo svolgimento delle elezioni al nord – violenza che spinse la coalizione di Gbagbo, La majorité présidentielle (La maggioranza presidenziale) a presentare istanze per l’annullamento del voto in vista degli eventi documentati in alcuni dipartimenti[2] – il Consiglio Costituzionale ha dichiarato Laurent Gbagbo Presidente il 3 dicembre. La coalizione di Ouattara, il Rassemblement des Houphouetistes pour la Démocratie et la Paix (RHDP), invece, non aveva presentato istanze per irregolarità al secondo turno.
Le critiche successive dell’Unione Europea e di altre organizzazioni internazionali sul ruolo del Consiglio Costituzionale – che avrebbe dovuto annullare i risultati e indire nuove elezioni, invece di annullarne solo una parte e dichiarare Laurent Gbagbo Presidente – pur se giuste da un punto di vista costituzionale e aperte al dibattito, diventano fuorvianti in seguito all’emergenza securitaria fomentata dalla ribellione.
Come si sono svolte queste elezioni? Innanzitutto era chiaro che organizzare delle elezioni con una ribellione armata nella parte settentrionale del paese a sostegno del candidato Ouattara non è stato un esercizio elettorale proficuo, come sottolinea Arsène Touho nel volume Côte D’Ivoire, Leçons du 11 avril 2011, in cui fa un bilancio delle scelte del Fronte Popolare Ivoriano (FPI) negli ultimi dieci anni. Touho ritiene che aver accettato di indire le elezioni nonostante il mancato disarmo della ribellione, sia stato uno degli errori principali di Gbagbo[3] perché questo rese i suoi rappresentati vulnerabili nei seggi elettorali delle zona Centro, Nord e Ovest sotto il controllo ribelle.
Nel rapporto finale dell’Unione Europea gli osservatori elettorali dichiarano che coprirono il 4,7 percento dei seggi elettorali – 943 seggi su 20,073 – e che nell’insieme le elezioni si erano svolte correttamente, eccetto “qualche problema nelle regioni sotto il controllo del Presidente in carica”, cioè Gbagbo. Poi vi si legge che “sullo svolgimento delle elezioni la TV Ivoriana ha dato voce a organizzazioni di “osservatori africani sconosciute.”[4] Violazioni solo nelle zone sotto il controllo di Gbagbo? Missioni sconosciute? Eppure la missione dell’Union Africaine (UA) ; la Coordination des Observateurs de la Mission Internationale de la Société Civile Africaine (COMISCA); del Observatoire de la société civile africaine pour la démocratie et l’assistance électorale (OSCADAE) ; la Coordination des Experts Électoraux Africains (CEEA) ; il Cadre des émissaires pour la Promotion des élections Crédibles en Afrique (CEPECA) ; la missione della Communauté économique des Etats d’Afrique de l’Ouest (CEDEAO) et la Mission du Comité Interparlementaire de l’UMOEA non sono del tutto « sconosciute ». Più della metà di queste organizzazioni denunciò le gravi circostanze nelle quali si svolsero le elezioni nella parte nord del paese, sotto il controllo della ribellione.
Sempre nel rapporto della missione dell’Unione Europea si parla di sedici osservatori che dovettero essere evacuati per motivi di sicurezza : una cifra significativa su 120 osservatori in tutto. Ma il rapporto fa un errore grave dicendo che le evacuazioni erano avvenute nella zona del Presidente in carica-Laurent Gbagbo. Questo fatto viene infatti smentito da un articolo su France Soir che rilevò attraverso le fatture della compagnia aerea ingaggiata per portare gli osservatori europei al sicuro con precisione le aree dell’evacuazione : Man e Khorogo, due regioni nell’area ribelle sin dal 2002. Frédéric Lafont, proprietario della compagnia aerea, ricorda che i suoi stessi piloti ebbero paura a evacuare gli osservatori.[5]
L’Unione Africana, che ha visto due dei suoi osservatori sequestrati e liberati dall’Operazione delle Nazioni Unite in Costa d’Avorio (ONUCI), scrive : « La missione ha scoperto con rammarico atti di violenza gravi con perdite di vite umane, violazioni all’integrità fisica, sequestri, intimidazioni, tentativi di sequestro di persona e la distruzione del materiale elettorale. Tanti elementi che dovrebbero essere oggetto di attenzione da parte degli organi competenti per determinarne l’impatto complessivo sul risultato delle elezioni. » CEPECA ritiene nel suo rapporto preliminare che « la credibilità del sondaggio nella regione di Savannah e più precisamente a Korhogo sia fortemente screditata ». Il rapporto CEEA spiega che nelle regioni sotto il controllo dei ribelli – Korhogo, Bouaké, Séguela, Toriya e Garaoua – le elezioni furono « marcate da gravi irregolarità, quali sondaggi rubati, sequestro dei rappresentanti dei rispettivi candidati, voti multipli, il rifiuto di una presenza sistematica degli osservatori internazionali in alcuni seggi durante il conteggio dei voti, e la perdita di vite umane ». In un comunicato stampa del 2 dicembre 2010, la CEDEAO dichiara che « Gli incidenti che hanno impedito ai cittadini di esprimere il loro voto, soprattutto in alcune regioni del nord, sono da condannare e punire in conformità con la legge in vigore ».[6] La testimonianza di Youssouf Fofana, Presidente del partito la Voix du Nord, rappresentante elettorale per Gbagbo nella regione di Séguéla, svela episodi di inaudita violenza, in cui le Forces Nouvelles e i rappresentanti della coalizione di Ouattara (RHDP) impedirono ai rappresentanti di Gbagbo di rimanere nei seggi, cacciandoli, sequestrandoli, minacciandoli di morte : un vero far west elettorale. Oggi Fofana si trova in esilio per averlo denunciato.[7] Anche il rapporto del generale di brigata Nicolas Kouakouche parla di 217 rappresentanti della coalizione di Gbagbo che furono cacciati dai seggi e lo raggiunsero per la loro sicurezza.[8] L’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR) svela che vi furono 200,000 rifugiati Ivoriani nei paesi limitrofi e un milione stimato di sfollati interni all’inizio della crisi elettorale.
Eppure nei brevi aggiornamenti delle agenzie stampa mondiali si legge una sola notizia: che fu Gbagbo a perdere le elezioni nel Novembre 2010 e che tuttavia si stava arroccando al potere. Laurent Gbagbo però aveva chiesto un semplice riconteggio dei voti che doveva essere svolto da una missione d’inchiesta internazionale, opzione che fu rifiutata dall’ONU a favore di un intervento militare. Alain Dogou, ex Ministro della Difesa nell’ultimo governo Gbagbo, si chiede oggi[9] quali altre istanze istituzionali avrebbe dovuto seguire Gbagbo, se non il giuramento di fronte al Consiglio Costituzionale, come nel 2000. Ouattara, invece, il 4 dicembre del 2010 prestò il suo giuramento mandando una lettera allo stesso Consiglio Costituzionale. Quello che seguì furono quattro mesi di crisi post-elettorale che vide due Presidenti e due governi, ma in cui l’ONU e l’Unione Europea, infrangendo i propri mandati d’imparzialità, avevano deciso di sostenere il candidato Ouattara.
Dal dicembre 2010 al marzo del 2011 l’ONU, l’UE, la Francia e gli Stati Uniti sostennero contro il governo Gbagbo una politica di asfissia diplomatica e finanziaria – che incluse l’embargo sui medicinali, sul cacao, mandati internazionali, congelamenti di beni privati e la chiusura delle filiali Ivoriane delle banche francesi e americane – seguita poi nel Aprile del 2011 da ciò che il politologo Michel Galy definì un colpo di stato franco-onusiano.
È curioso notare che invece l’Unione Africana stava ancora discutendo nel marzo del 2011 una via d’uscita pacifica dalla crisi, quando le Forces Nouvelles scesero dal Nord verso sud fino alla capitale economica Abidjan e in Aprile iniziò un vero e proprio bombardamento sul palazzo presidenziale e altre aree strategiche da parte della Francia oltrepassando, secondo alcuni, il mandato sancito dalla risoluzione ONU 1975 del 30 marzo 2011. Il fatto che l’Unione Africana non sia riuscita a imporre la sua linea, che si stava delineando all’interno del Pannello di cinque esperti Capi di Stato dell’Unione Africana messo in piedi alla fine del gennaio 2011 durante il sedicesimo summit dell’Unione Africana, sottolinea la fragilità e la marginalizzazione di questa istituzione nell’arena della politica internazionale. Gli esperti cominciarono a condurre le loro indagini e alcuni cominciarono a mettere in dubbio la vittoria di Ouattara al secondo turno, ma i membri dell’Unione Africana sono facilmente malleabili con promesse di annullamento di debito o altri vantaggi concordati bilateralmente dietro le quinte. La seconda riunione del Panel dell’Unione Africana, cruciale nella risoluzione della crisi, che chiedeva la formazione di un governo di unità nazionale e nuove elezioni come via d’uscita dalla crisi, ed escludeva l’opzione militare, si tenne in Mauritania il 5 marzo, ma cominciò con due ore di ritardo perché il Presidente tanzaniano aveva fatto uno scalo a Parigi. La riunione conclusiva, che si doveva poi tenere ad Abidjan lo stesso giorno, fu rimandata sine die mentre i due aerei presidenziali del Togo e la nave e l’aereo del Presidente del Sud Africa, presenti sul suolo ivoriano, lasciavano la Costa D’Avorio.
Gbagbo, un fenomeno sociologico
Ma chi è Laurent Gbagbo? Quando stavo lavorando nel 2008 a un documentario sui vignettisti africani, in prima linea per la difesa della libertà di espressione, Résistants du 9ème Art, avevo anche delle immagini di girato riguardanti la rivista satirica ivoriana Gbich!. Il vice caporedattore Mendozza Y Caramba, mi raccontò un aneddoto: aveva ricevuto una telefonata che gli annunciava l’arrivo del Presidente in redazione. Mendozza, che teneva una rubrica assai critica nei confronti di Gbagbo, Les Habits neufs du Président (« I nuovi abiti del Presidente ») rise, pensando sulle prime che si trattasse di uno scherzo. Invece Laurent Gbagbo arrivò dopo una decina di minuti, lodò il loro lavoro, complimentandosi, nonostante la severa satira nei suoi confronti. Ne rimasi colpita. Mi ero già imbattuta in un aneddoto simile riguardante un altro presidente africano più famoso, Nelson Mandela, e dopo questa seconda esperienza decisi di menzionarlo nel montaggio. Mandela aveva chiamato a sorpresa Jonathan Zapiro, uno dei vignettisti ribelli in prima linea nella lotta anti-apartheid e gli aveva detto “bravo, stai facendo il tuo lavoro” anche se Zapiro, ora che il partito di Mandela, l’African National Congress (ANC), era al potere, lo attaccava ferocemente con le sue vignette combattive. Ma non dimenticai che Gbagbo aveva avuto lo stesso spirito di Mandela.
Laurent Gbagbo nacque il 31 maggio 1945 in una famiglia modesta a Mama presso Gagnoa nell’Ovest della Costa d’Avorio. Suo padre, Paul Koudou Gbagbo, aveva partecipato alla Seconda guerra mondiale come sergente in un battaglione comandato da un certo Laurent, da cui il nome di Gbagbo. Era stato ferito e fatto prigioniero dall’esercito tedesco. Divenne in seguito poliziotto. Nel 1964 fu accusato di uno dei tanti “falsi complotti” all’epoca del regime dittatoriale di Félix Houphouët-Boigny e imprigionato. La madre di Gbagbo, sebbene fosse venuto a mancare il sostegno paterno, non volle che suo figlio abbandonasse gli studi. Gbagbo si specializzò prima in lettere antiche, e poi in storia contemporanea. Già da studente si batté per l’esistenza di un sindacato degli studenti che non fosse sottomesso al sindacato del partito unico, il Mouvement des Elèves et Etudiants de Côte d’Ivoire (MEECI). Nel 1969 fu arrestato per la prima volta per 15 giorni, insieme a 400 altri studenti, che chiedevano la pluralità di voci nell’ambito sindacale studentesco.
Il diritto alla differenza – sindacale, partitica, di modello economico o nell’ambito della stampa – è alla base della lotta nonviolenta sviluppata da Gbagbo sin dal 1969. Quando nel 1980 Félix Houphouet-Boigny permise che si votasse all’interno del partito unico Gbagbo protestò : avere la libertà di votare solo all’interno di un unico partito era per lui una dichiarazione « pericolosa perché reprime il diritto alla differenza, diritto essenziale per l’evoluzione di un paese ».[10] Divenne professore di storia al liceo classico di Abidjan e fu di nuovo arrestato per la sua militanza politica dal marzo del 1971 al gennaio del 1973.
Gbagbo si batté contro il regime a partito unico di Félix Houphouët-Boigny per il multipartitismo, e lo fece su più fronti : da un lato analizzando i meccanismi di un sistema repressivo del partito unico attraverso i suoi libri e dibattiti e dall’altro lavorando nella clandestinità per mettere in piedi un partito d’opposizione, Il Fronte Popolare Ivoriano (FPI), partito che optava per una transizione nonviolenta verso la democrazia. Nel 1980 divenne Direttore dell’Istituto di Storia, Arte e Archeologia Africana all’Università di Abidjan. Accusato di essere l’istigatore di un complotto contro Houphouët-Boigny, di essere una « spia libica » e peggio « un militante separatista dell’etnia Bété », Gbagbo nel 1982 desideroso di smentire le accuse, proteggersi e far conoscere la questione Ivoriana all’estero, andò in esilio a Parigi, dove rimase fino al 1988. Prima di andare in esilio aveva già visitato tre quarti dei villaggi della Costa d’Avorio, ma il lavoro di « coscientizzazione » continuò in esilio con la creazione di sedi del partito in Europa e la pubblicazione di un programma politico, Côte d’Ivoire, per un’alternativa democratica. Durante il suo esilio, sua moglie Simone Evihet, che secondo le parole di Gbagbo « fece il 60 per cento del lavoro » e gli altri membri del FPI lavorarono nella clandestinità per allargare la base del partito.
Quando Gbagbo divenne Presidente nel 2000, con trent’anni di lotta nonviolenta alle spalle, aveva visto realizzarsi nel 1990 il primo punto del suo programma, il multipartitismo. Nel 2000, prevalse al congresso del suo partito, l’FPI, la corrente più socialista. Il suo governo istituì subito l’Assurance Maladie Universelle (AMU), l’assicurazione sanitaria universale: la prima in Africa, criticata da molti ambasciatori ed esperti che la giudicarono all’epoca una scelta troppo costosa per un paese africano.[11] Introdusse la scuola gratuita e obbligatoria per tutti, con la possibilità di accesso ai testi scolastici. Avviò anche una politica di decentralizzazione, con più potere alle regioni e delineò una visione regionale per lo sviluppo dell’Africa occidentale. Ma il suo governo non durò neanche due anni. Già nel 2001 ci fu il colpo di stato detto “della Mercedes nera”, seguito dal colpo di stato del 19 settembre 2002 che portò il paese dividersi in due. Con gli accordi di pace di Linas Marcoussis Gbagbo dovette accettare che ribelli, spesso analfabeti, entrassero nel suo governo. La manifestazione di protesta che seguì a Abidjan nei giorni successivi all’accordo venne descritta come un semplice movimento di giovani patrioti, ma dalle immagini girate da Sidiki Bakaba in Côte d’Ivoire, La victoire aux mains nues[12] si evince che è un’intera nazione: due milioni di persone scese nelle strade per esprimere la loro indignazione sull’esito dell’accordo. Gbagbo è considerato anche un fenomeno sociologico in quanto rappresenta la nascita di uno stato nazionale e una classe intellettuale media avente come polo di riferimento Abidjan e non Parigi.
La Francia in ritardo di una decolonizzazione
Michel Galy, politologo, scrive in Guerre à l’Afrique? La France en retard d’une décolonisation che due ministri della cooperazione allo sviluppo francesi, Jean-Pierre Cot sotto François Mitterrand nel 1982 e Jean Marie Bockel sotto Nicolas Sarkozy nel 2008, a distanza di 25 anni l’uno dall’altro, furono licenziati perché avevano osato pronunciare la fine della Françafrique, l’ingerenza francese nell’Africa francofona. Nell’era post-sovietica la politica francese verso l’Africa divenne “una politica di containment del suo desiderio d’autonomia e dell’immigrazione africana fuori dal continente”.[13]
Dal 1954 a oggi vi sono stati almeno 122 interventi militari francesi in Africa. “Lo stato simbolico” della Francia, bisognoso di legittimare la propria egemonia, lo fece attraverso i media francesi, che si comportarono, sin dall’arrivo al potere di Gbagbo nel 2000, come il braccio destro del Quai d’Orsay, avviando una politica di disinformazione e demonizzazione di Laurent Gbagbo e del suo governo. Eppure la Corte d’Appello di Parigi condannò Le Monde nel 2006 per diffamazione, perché aveva scritto che Gbagbo e sua moglie Simone Evihet si servivano degli “squadroni della morte”, fatto rivelatosi infondato[14]; un giovane giornalista franco-camerunense, Théophile Kouamouo, si dimise dalle stesso Le Monde nel 2002 perché non poteva più accettare i cambiamenti disonesti della redazione parigina che deformavano le conclusioni delle sue ricerche sul terreno[15]; nel 2004 il giornalista David Schneidermann analizza la stampa francese, accusandola di etnocentrismo francese e di fomentare una propaganda di guerra colpevole di deviare i lettori dai fatti : nove soldati francesi furono uccisi a Bouaké in un attacco aereo ancora ad oggi non chiarito, ma la Francia, in rappresaglia, azzerò tutta l’aviazione Ivoriana e in seguito a questo evento gli Ivoriani scesero nelle strade in protesta. Il bilancio Ivoriano nei giorni seguenti che videro l’esercito francese sparare sui manifestanti non armati fu di 67 morti e più di 2,000 feriti di cui 500 gravi.
Oltre alla stampa anche le Nazioni Unite legittimano questa politica egemonica? Due esempi tratti dalla crisi post-elettorale : il 27 Febbraio del 2011 il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon accusò la Bielorussia di violare l’embargo internazionale che impedisce di vendere armi alla Costa d’Avorio dal 2004, dichiarando che stava rifornendo il governo di Laurent Gbagbo. Il giorno dopo, l’ONU smentisce la notizia da essa stessa data e il capo delle operazioni di pace presso l’ONU, il francese Alain Le Roy, porge le sue scuse alla Bielorussia, per l’accusa rivelatasi infondata. Nel marzo del 2011 l’ONUCI dovette smentire un’altra grave accusa che aveva pubblicato sul suo sito: erano state trovate delle fosse comuni da attribuire a Gbagbo e che gli era stato interdetto di visitare i luoghi. Ma un deputato norvegese, Lars Riise, si recò in Cosa d’Avorio e avendo accertato la possibilità di visitare i luoghi e non avendo trovato alcuna traccia di fosse comuni, organizzò una conferenza stampa nella quale denunciò i “falsi massacri” e “le manipolazioni mediatiche dell’ONUCI come irresponsabili”. Il film La Francia in nero di Silvestro Montanaro, andato in onda su Rai 3 nel settembre 2012, denuncia il ruolo delle Nazioni Unite nella crisi post-elettorale.[16]
Le analisi e opinioni correnti che spiegano la crisi del 2002 della Costa d’Avorio con il decadimento statale, la corruzione, le élite egocentriche, i lavoratori stranieri, o motivi etnici e/o di gruppi religiosi[17], “sembrano dimenticare un quesito cruciale: poteva l’élite post-coloniale della Costa d’Avorio permettersi di rompere bruscamente con la Francia?”
La privatizzazione che avvenne con i programmi di aggiustamento strutturale alla fine degli anni ottanta rafforzò la dipendenza ivoriana, incrementando l’influenza del capitale straniero nei settori chiave dell’economia. All’alba del XXI secolo, France Télécom aveva acquisito il 51 per cento di Citelcom, e Orange era la più grande società di telefonia cellulare in Costa d’Avorio; il Gruppo Bolloré possedeva il 67 per cento di Sitrail che gestiva la ferrovia tra Abidjan e Ouagadougou, ed era in posizione quasi monopolistica nel settore dei trasporti (Saga) e tabacco (SITAB); Air France deteneva il 51 per cento di Air Ivoire; Bouygues, attraverso la sua filiale Saur aveva acquistato la concessione per la compagnia elettrica Ciprel e il 25 per cento della Compagnie d’Electricité Ivoirienne, e controllava l’impresa nazionale dell’acqua, Sodeci; Totale e ELF possedevano il 25 per cento della SIR (Società Ivoriana di raffinazione del petrolio); il settore bancario era diviso fra BNP, Crédit Lyonnais e Société Générale.[18]
Il governo Gbagbo, per non seguire la strada di ulteriori privatizzazioni, che aveva provocato un aumento del 16 per cento della povertà dal 1985 al 1988, propose la ristrutturazione delle imprese pubbliche al posto della privatizzazione, come strada per uno sviluppo economico endogeno. Ahoua Don Mello, ex Direttore generale dell’Ufficio nazionale per gli studi e lo sviluppo tecnologico, spiega[19] come riuscirono a salvare molte imprese statali e anche a renderle redditizie. Spiega inoltre le difficoltà che incontrarono seguendo questa scelta: per esempio nel campo energetico Bouygues aveva stipulato un contratto secondo il quale il gas utilizzato veniva comprato sul mercato internazionale, invece che localmente nel paese. Questo fece aumentare il prezzo da 8 FCFA a 45 FCFA al kilowatt in cinque anni. Il governo Gbagbo cercò di ridiscutere quest’aspetto del contratto di concessione con Bouyges, ma le bombe cominciarono a cadere sul paese: oggi, sotto Ouattara, il prezzo dell’elettricità per il consumatore è salito.
Gbagbo decise di raccontare la storia della Costa d’Avorio nella sua tesi universitaria, Côte d’Ivoire, economie et société à la veille de l’indépéndance, cominciando dal 1940 invece che dal dopoguerra, proprio perché l’arrivo della Francia di Vichy al potere aveva avuto ripercussioni anche nelle colonie svelando il vero volto della colonizzazione. Ci fu una rottura egemonica che spinse l’intelligentia a fare dei passi in avanti verso una forma di indipendenza, anche se incompleta. Ma Gbagbo bollò questa intelligentia come “indigente” perché non aveva posto i problemi cruciali del giorno: il problema della nazione, dello Stato, dell’imperialismo e del rapporto con la potenza colonizzatrice. Il suo “governo dei professori” mise queste questioni al centro del proprio programma politico. Per esempio nel luglio del 2008 fu stipulato un accordo nel quale la Francia soppresse la sua presenza militare in Costa d’Avorio: la base militare del 43esimo Battaglione di Fanteria di Marina (BIMA) venne integrata momentaneamente nella missione Licorne, e una volta conclusasi la missione, la presenza militare francese sarebbe sparita definitivamente, dopo secoli, dal suolo Ivoriano.
Voci multiple
Dunque di quali fonti servirsi con tutte queste prove evidenti di falsificazione dell’informazione? La Costa d’Avorio comincia a raccontarsi, svelando sfumature ricche di dettagli per ricostruire la storia recente. Le fonti si moltiplicano, voci e generi diversi – pamphlet, resoconti storici, inchieste, testimonianze dirette, romanzi, blog e giornali sulla rete e testi musicali – che sottolineano la trasformazione da dibattito contraddittorio in un cambiamento di portata più vasta, cambiamento di egemonia culturale.
Un racconto lungo, Côte d’Ivoire, le pays déchiré de mon grand-père di Sylvie Bocquet-N’Guessan è il punto di vista di una giovane studentessa di origini Ivoriane che vive nel nord della Francia. Mentre apprendiamo dal racconto che la RTI, la Tv nazionale Ivoriana, fu censurata in Francia durante la crisi, gli Ivoriani in Francia e nel resto del modo non sono mai stati a digiuno di notizie fresche, immediate. Erano in contatto quotidiano con i loro parenti e amici. Dunque risultava evidente la discrepanza fra ciò che si diceva alla radio, in tv e sui giornali francesi e internazionali e ciò che raccontava il nonno via skype. Questa mancanza di corrispondenza fece nascere prima l’indignazione e poi una pluralità di risposte che tuttora si leggono su blog e siti «ivoriani, belgi, canadesi, camerunensi, togolesi, del Burkina Faso, del Gabon». Nel racconto la madre della ragazza lamenta il fatto che un musicista venga invitato in Tv a dare un’opinione sulle vicende finanziarie in Costa d’Avorio. Lei riflette : « È un po’ come se una Tv ivoriana invitasse il cantante Johnny Halliday per parlare della crisi finanziaria francese. Non pensi che il ministro del bilancio sarebbe stato più appropriato?» La madre rimpiange : « Quello che è scandaloso è che proprio la Francia attacchi. Vedi, noi paghiamo le tasse per uccidere una parte della nostra famiglia. »[20]
Nascono anche “controrapporti” che smentiscono i rapporti ufficiali con fatti e spiegazioni. Per esempio l’ONU scrisse nella sua inchiesta internazionale sulla crisi post elettorale che la campagna elettorale di Gbagbo aveva usato uno slogan, “vota 100 per cento originale” che incitava all’uccisione dell’etnia di Ouattara. Scopriamo invece che nello slogan la parola “originale” si riferiva al programma politico di Gbagbo, di cui si diceva Ouattara avesse fatto una semplice fotocopia, e non un’allusione di tipo etnico![21]
Nel film-ritratto Un homme une vision di Hanny Tchelley Gbagbo ci dice “amo Cicerone ma quando entro in politica prediligo Cesare, perché Cesare aveva capito l’importanza dell’esercito per la costruzione di uno stato nazionale, ma anche la necessità di sottometterlo al potere civile. Non abbiamo fatto grandi passi avanti, a livello di istituzioni, siamo ancora nell’antichità”.
Con il regime di Ouattara (più di mille prigionieri politici da ormai quasi due anni, la polizia e gendarmeria senza armi, l’esercito allo sbando, la pulizia etnica nell’ovest contro il popolo Wê, la violenza dell’ex ribellione ancora presente, l’emergenza dei rifugiati e degli sfollati, la reistituzione della base militare francese e molti ministri francesi nel governo ivoriano, la privatizzazione ad oltranza, la stampa perseguitata e l’interdizione di manifestare) la Costa d’Avorio è tornata indietro di cinquant’anni nella costruzione di uno stato nazionale.
Al resto dell’Europa conviene seguire le politiche dell’europeizzazione dell’apparato militare francese in Africa? La multilateralizzazione della sua politica estera in ambito ONU conviene al resto del mondo? La crisi ivoriana pone in primo piano anche l’urgenza di riformare il Consiglio di Sicurezza, estendendo i seggi permanenti ad altri continenti e cominciando a prevedere un posto per l’Europa (da togliere alla Francia e all’Inghilterra) per creare un’arena di governance internazionale degna di accogliere autentici processi di democratizzazione.
Nicoletta Fagiolo, gennaio 2013
NOTE
[1]“3.1.2. Nessun accordo è stato raggiunto nei risultati annunciati dal presidente della CEI come previsto dalle procedure; 3.1.3. Il Presidente della CEI ha dichiarato questi risultati da solo, in assenza di altri membri della CEI e dunque in violazione delle disposizioni e procedure della stessa CEI ” in Thabo Mbeki, Le Rapport de Thabo Mbeki sur sa mediation en Cote d’Ivoire, dicembre 2010 reperibile qui e Thabo Mbeki , What the world got wrong in Ivory Coast, 29 April 2011, Foreign Policy, reperibile qui.
[2]Per esempio nell’ istanza per l’annullamento del voto presentata da Laurent Gbagbo al Consiglio Costituzionale il 30 novembre 2010 è precisato che “in tutto il dipartimento di Ferkessedougou, gravi atti di minacce di morte, d’assassinio, d’intimidazione, di violenza fisica, sequestri di personale, e aggressione sono state perpetrate ai rappresentanti e gli attivisti della maggioranza Presidenziale”; vi sono allegati i processi verbali dei sorveglianti e i rapporti degli osservatori elettorali. L’istanza precisa che i militanti che non avevano lasciato la zona erano ancora perseguitati dopo le elezioni.
[3]Arsène Touho, Côte D’Ivoire, Leçons du 11 avril 2011, l’Harmattan, Paris, p.60
[4]”Il telegiornale RTI della sera del 30 novembre, ha presentato i risultati di ” missioni di osservazione ” africane di origine sconosciute. Dopo aver specificato la loro presenza in tutte le città del nord del paese, queste missioni hanno descritto le elezioni in queste aree , “fraudolenti, non trasparenti, segnate dalla violenze” in Rapport final de la Mission d’Observation de l’Union Européenne pour les elections en Côte d’Ivoire le 31 octobre et le 28 novembre 2010 p. 25 reperibile qui
[5]Frédéric Lafont qui
[6]Il rapporto finale della CEDEAO non fu mai reso pubblico. In tutto vi furono una quindicina di missioni di osservatori elettorali. Alcuni Rapporti sul secondo turno delle elezioni sono reperibile qui
[7]Youssouf Fofana, intervista di Nicoletta Fagiolo e Théophile Kouamouo, Accra, Ghana, Giugno 2012.
[8]Charles Onana, Côte d’Ivoire, Le coup d’état, Paris, éditions Duboiris, 2011. p 322
[9]Alain Dogou, Ma vérité sur le complot contre Laurent Gbagbo, L’Harmattan, Paris, 2012. p 29
[10]Laurent Gbagbo, Agir pour les Libertés, Paris, L’Harmattan, 1991. p. 18
[11]Intervista con Guy Labertit, Nicoletta Fagiolo, Parigi, Aprile 2011.
[12]Il film di Sidiki Bakaba si può vedere su YouTube
[13]Michel Galy, Guerre à l’Afrique? La France en retard d’une décolonisation in Grotius International, 30 settembre 2012.
[14]È curioso notare che la rivista Juene Afrique fu già condannata dalla Corte d’Appello di Parigi due volte nel lontano 1986 quando Laurent Gbagbo gli fece due processi per diffamazione, vincendoli ambedue.
[15]Anche l’ex portavoce della forza Licorne, Georges Peillon, si è dimesso dal suo lavoro perché infastidito dal comportamento scorretto della stampa francese. La sua testimonianza si può ascoltare sul sito Cote D’Ivoire Voices.
[16]Il film di Montanaro si può vedere su YouTube
[17]Per esempio la divisione Nord musulmani, Sud cristiani è erronea, perché ci sono più musulmani al Sud che al Nord della Costa d’Avorio. Thomas Bassett, “Nord Musulman and Sud Chrétien’: Les moules médiatiques de la crise ivoirienne,” Afrique Contemporaine No. 206, 2003.
[18]Bruno Charbonneau, France and the New Imperialism, Security Policy in Sub-Sahatan Africa, Ashgate, 2008. P 154-155
[19]Intervista con Ahoua Don Mello di Théophile Kouamouo e Nicoletta Fagiolo, Accra, Ghana, Giugno, 2012.
[20]Sylvie Bocquet-N’Guessan , Côte d’Ivoire, le pays déchiré de mon grand-père, récit, L’Harmattan 2012. p. 44-45 e p.59
[21]Alain Dogou, Ma vérité sur le complot contre Laurent Gbagbo, L’Harmattan, Paris, 2012. p 124-125
Nell’immagine di chiusura: durante il making-of del documentario Laurent Gbagbo, il diritto alla differenza, un film di Nicoletta Fagiolo, manifestazione per la liberazione di Laurent Gbagbo, Parigi, Francia aprile 2012. Nella foto No Gbagbo No Peace: manifestazione all’Aia del 18 giugno 2012.