Dopo giorni di silenzio, prima l’ammissione dell’Unhcr, che parla di probabili 500 morti in mare al largo della Libia, poi uno dopo l’altro i racconti angoscianti dei 41 superstiti portati in salvo da un mercantile a Kalamata, in Grecia.
“I trafficanti volevano trasferirci su una barca colma di persone che è affondata, ho perso davanti ai miei occhi moglie e figlia di 2 mesi”, racconta fra le lacrime un giovane etiope.
Ci sono almeno 500 persone rimaste nel mar Mediterraneo per i quali nessuna autorità nazionale o internazionale proclama giorni di lutto, avvia indagini, o anche solo ricorda in un misero comunicato stampa.
Sarebbe questa la tremenda perdita umana verificatesi nelle acque al largo della Libia tra il 15 e il 16 aprile 2016.
Quella che sta emergendo nell’ultimo paio di giorni è una delle peggiori stragi in mare di sempre, avvenuta però lontano dai riflettori e con dinamiche ancora non del tutto chiare, ma avvenuta sicuramente, come ammette lo stesso Unhcr, Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, Unhcr: “un nostro team ha incontrato i sopravvissuti di quella che potrebbe essere una delle più gravi tragedie che vede coinvolti rifugiati e migranti degli ultimi 12 mesi. I 41 sopravvissuti – 37 uomini, 3 donne e un bambino di tre anni – sono stati tratti in salvo da una nave mercantile e portati a Kalamata, nella penisola greca del Peloponneso, il 16 aprile. Tra le persone salvate ci sono 23 somali, 11 etiopi, 6 egiziani e 1 sudanese. I sopravvissuti ci hanno detto che erano parte di un gruppo di 200 persone partito la settimana scorsa da una località vicino a Tobruk, in Libia su un’imbarcazione lunga circa 30 metri. Dopo diverse ore di navigazione, i trafficanti hanno cercato di trasferire le persone su un’imbarcazione di maggiori dimensioni che già aveva a bordo centinaia di persone e che quindi era in condizioni di terribile sovraffollamento. Durante il trasferimento, ad un certo punto l’imbarcazione più grande si è capovolta ed è affondata. Tra i 41 sopravvissuti ci sono persone che non erano ancora salite sull’imbarcazione più grande ed altre che sono riuscite a tornare a nuoto sull’imbarcazione più piccola. Queste persone sono rimaste in mare su tale barca alla deriva per almeno tre giorni prima di essere individuati e tratti in salvo”.
I racconti raccolti da Unchr sono quelli che in queste ore stanno facendo gli stessi superstiti, arrivati nel frattempo ad Atene, davanti ai microfoni dei giornalisti.
Strazianti sono le parole dell’etiope Muaz Mahmoud, raccolte da Afp, rimasto proprio sulla piccola barca alla deriva: “Quando i trafficanti ci hanno obbligato a salire sulla nave più grande, questa si è ribaltata. Mia moglie di 21 anni e mia figlia di 2 mesi si sono inabissati, e tanti altri sono morti nel mare. Poi i trafficanti ci hanno abbandonato, e siamo rimasti per tre giorni su una piccola nave con il motore rotto, senza acqua ne cibo”.
E’ stato lo stesso Muaz, secondo il suo racconto, a trovare un’insperata soluzione per i superstiti: “quando oramai eravamo allo stremo, abbiamo trovato sul fondo della barca un telefono con un solo numero salvato, l’abbiamo chiamato e ha risposto la polizia italiana“, ha raccontato.
Altri supersiti hanno perso fratelli, mogli, figli, in una disperazione senza fine.
I viaggi dalla Libia, dopo un blocco apparente durato quasi tutto l’inverno – a parte qualche partenza sporadica – sembrano essere ripartiti a gran ritmo.
Proprio giovedì 21 aprile la polizia libica ha scoperto due abitazioni in cui erano rinchiusi 200 migranti dell’Africa centrale in attesa di avere il segnale dai trafficanti per la partenza.
Chissà in quanti altri edifici della costa sono ora presenti altre persone pronte a provare al roulette russa del mare.
In tutto questo, l’Unione europea continua a non trovare una linea comune per far fronte alle continue morti nel Mediterraneo.
Se sul piano politico l’attenzione è ora – debolmente – spostata sul documento Migration compact promosso dall’Italia per arrivare a un accordo con quei Paesi africani più stabili, sul piano umanitario le frontiere sono sempre più al collasso e, del naufragio dei 500, nessuno parla.
L’unica che alza la voce, ancora una volta, è la società civile: decine di persone, volontari, operatori di associazioni, stanno unendo le forze per recuperare informazioni sull’ultima terribile tragedia del mare.
“Ci sono ancora gli scettici. E resteranno sempre piu’ gli indifferenti. Tra noi, sono questi che devono farci paura”, sentenzia Fulvio Vassallo, avvocato e docente universitario di Asilo politico.
Fonte: www.vita.it, migrantitorino.it