Una grande maratona di solidarietà, un viaggio nei campi profughi Sahrawi, un muro lungo 2.500 km che divide il Sahara Occidentale
1514 LE NUVOLE NON SI FERMANO
Venerdì 30 aprile 2010 anteprima al Teatro Duse. Ingresso: libero.
Il documentario «1514 Le nuvole non si fermano», diretto da Carlotta Piccinini e prodotto da Umberto Saraceni di Visual Lab nasce dalla richiesta dell’Associazione El Ouali di documentare la Sahara Marathon, un progetto di solidarietà internazionale che ha portato una troupe di cinque donne, nel mese di febbraio 2009, a spingersi nel sud dell’Algeria per raccontare la storia di un popolo, i Sahrawi, che da trentacinque anni sta lottando per la propria indipendenza.
Il documentario è prodotto da Visual Lab con il partenariato dell’Associazione El Ouali per la Libertà del Sahara Occidentale, del Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli (Cisp), promosso dall’Associazione Visioni Trasversali di Bologna con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna, del Comune di Ferrara, del Comune di Siena, della Provincia di Ferrara e della Provincia di Pesaro e Urbino.
Il titolo del documentario si compone di due elementi strettamente interrelati tra di loro.
“1514” fa riferimento alla Risoluzione Onu n. 1514 (XV) del 14 dicembre 1960, che riconobbe il diritto all’autodeterminazione ai popoli e ai paesi sottoposti a dominio coloniale. Risoluzione tuttora attuale, se si pensa a quanti conflitti nel mondo sono generati dalla negazione di questo diritto.
“Le nuvole non si fermano” allude simbolicamente all’identità dei Sahrawi, una popolazione storicamente nomade e per tradizione residente nelle zone del Sahara Occidentale, chiamati “Figli delle nuvole” perché sempre alla ricerca dell’acqua in mezzo al deserto.
Infine, “Le nuvole non si fermano” è anche una metafora di quell’irresistibile e inarrestabile moto che spinge chi lotta per la propria libertà.
Testimone del viaggio nella realtà dei Sahrawi è lo sguardo di Cristiana, una giovane donna italiana che vediamo partecipare alla Sahara Marathon.
La corsa diventa emblema del graduale percorso interiore di chi osserva e prende consapevolezza di alcune grandi questioni riguardanti la natura umana: la sopravvivenza, l’integrità della propria identità, la lotta per la libertà.
Questa riflessione offre uno spaccato di vita attraverso gli occhi di una maratoneta fra tanti. Uno sguardo che rispecchia quello di chiunque e si propone di raccontare il popolo Sahrawi oggi, piuttosto che affrontare le cause storiche legate al conflitto con il Marocco.
È l’occasione quindi per denunciare le conseguenze di quella guerra e la costruzione di un limite difensivo, di cui i più ignorano l’esistenza, a favore del governo marocchino: un lungo muro, ben 2.500 km di pietra e sassi, protetto da cinque milioni di mine, che taglia in due blocchi il Sahara Occidentale.
Un excursus per conoscere le voci, i volti e le reali esigenze di chi ha vissuto il tempo di una guerra, le testimonianze di chi ha dovuto affrontare l’esodo in Algeria, la separazione dalle famiglie isolate nei territori occupati, la vita nei campi profughi, i bambini rimasti orfani o feriti, la dipendenza dagli aiuti umanitari.
Il messaggio che si evince dai discorsi dei Sahrawi, come Brahim Cheij Breih (dipendente del Ministero della Cultura della Rasd) o come la nostra guida e interprete Mohamed Hamadi Omar è quello di un popolo che aspira fortemente al principio dell’autodeterminazione, così come è stato sviluppato nel 1945 dalla Carta dei Diritti dell’Uomo.
Donne, uomini e bambini che grazie ai loro occhi, alle loro parole, ai loro canti resistono, cercando di costruire, ogni giorno, le basi per un futuro diverso e concreto.
Nel fare ciò, i Sahrawi non hanno mai perso la positività, la cordialità e l’apertura verso l’altro, lo straniero, caratteristica che contraddistingue questo popolo straordinario in una terra lontana vista da vicino.
Foto di Gianni Giuliani